lunedì 29 settembre 2008

Trieste - i vecchi sono la nostra memoria

INTERVISTA SULLA TERZA ETÀ CON PAOLO RUMIZ

I vecchi sono la nostra memoria

Maria Luisa de Banfield
«Dobbiamo buttare a mare la tv e ascoltare le storie dei nonni»
La serie di interviste con personaggi celebri che parlano della vecchiaia, in occasione dei vent’anni delll’Associazione de Banfield, propone oggi le risposte del giornalista e scrittore triestino Paolo Rumiz. Doris Lessing, intervistata da Francesco Mannoni, alla domanda «Perché c’è una certa condiscendenza nei confronti delle persone anziane»? risponde così: «L’atteggiamento condiscendente nei confronti delle persone anziane in generale, è una caratteristica fissa della razza umana: quello di trovarsi un gruppo,un individuo, un animale con cui essere paternalistici. C’è sempre qualcuno da condannare o da ghettizzare: oggi potranno essere gli stupidi e i disabili, domani i musulmani, e tutti quelli che non sono e non la pensano come noi. Come specie siamo ancora molto tribali: noi siamo i buoni, gli altri i cattivi. È una vecchia logica della quale non ci siamo mai liberati e la usiamo con particolare riguardo verso le persone anziane, perché vecchio per tanti significa stupido, incapace». È d’accordo con la scrittrice? Ha qualcosa da aggiungere? «Domanda lunga e complicata per dire una cosa che non condivido. Non è vero niente, mi dispiace per la Lessing. La razza umana, come i topi o le balene o altri mammiferi sociali, ha sempre onorato e ascoltato i vecchi perché la loro esperienza fa sopravvivere la specie. Ghettizzarli e metterli in case di riposo è il segno di una società degenerata che intende suicidarsi e rinuncia alla memoria». Quale sarebbe il punto chiave da cui partire per ridisegnare la figura odierna dell’anziano smentendo la visione corrente di debolezza o comunque di inutilità? «Scardinare la società atomizzata dei nuclei familiari minimi che a metà dell'altro secolo il grande capitale ha lanciato come unica possibile rottura con la tirannica società patriarcale... Invece hanno distrutto quel modello senza sostituirlo con niente... in compenso ci hanno diviso per renderci consumatori impotenti e obbedienti. Dobbiamo ricostruire l'agorà, la piazza. Buttare a mare la Tv e ascoltare le storie dei nonni. Ma non vede che non cantiamo e non ridiamo più? L'italiano è diventato noioso, passa la vita a guidare da solo e a parlare da solo a un telefonino...». La visione distorta della Vecchiaia è rafforzata dalla nostra paura di invecchiare. Come pensa lei al suo invecchiamento? «Come a una maturazione continua. Credo di essere diventato adulto e persuaso solo dopo i cinquanta... La jeep va avanti nel deserto, il motore va bene, ma tutto il resto scricchiola... ogni giorno c'è qualche acciacco... Ma bisogna curarsi perché si è preziosi... Ho tanto da dire e da raccontare. Abbiamo il dovere di invecchiare nobilmente». Molti vecchi per restare nel grande fiume della società fanno di tutto per passare per giovani. Facendo così aiutano ad alterare l’immagine negativa che la gente ha di loro e della vecchiaia o semplicemente così si difendono dallo stereotipo del «vecchio=sorpassato»? «Conosco vecchi giovanissimi pieni di rughe e altri belli curati ma vecchissimi dentro. L'estetica, oltre certi limiti, è abbruttimento, perché nega che vecchio e bello possano anche andare d'accordo. Non c'è niente di più bello di un vecchio che se ne fotte delle rughe. Berlusconi non lo giudico politicamente, ma dico che ha costruito con le sue Tv una società basata sul lifting». Può darci un suggerimento per invecchiare con eleganza? «Se avessi ottant'anni lo potrei dire con più sicurezza, a sessanta non so... Raccontare molto, forse. Il racconto orale è la cosa più bella che Dio ci ha dato, ed è una doto che dobbiamo allenare cosdtantemente. Il racconto ha un valore consolatorio più forte di mille ansiolitici. Ah mia nonna, e il suo Cammina cammina... Che quercia formidabile che era!». Una gran parte di persone over 70 occupa oggi posti di grande prestigio e responsabilità. È sintomo della valorizzazione della Vecchiaia o di mancata capacità di rinnovamento della società? «I vecchi non devono rubare posti ai giovani ma consigliarli. Invece, l'Italia è una gerontocrazia scandalosa, blindata dai datori di lavoro e dai sindacati. Mio figlio se ne è andato a lavorare in Cina anche per questo Questa è la grande contraddizione della nostra società. I vecchi devono insegnare ai giovani e non lo fanno. Stanno lì, attaccati alla carega. Certo, ci sono dei casi che non c'è scelta». Victor Hugo ha detto «I vecchi hanno bisogno di affetti come del sole». La capacità e la voglia di relazionarsi affettivamente con i vecchi secondo lei è diminuita? «In parte ho già risposto all'inizio. La voglia c'è, manca il tempo. IO cerco di trovarlo. Come giornalista mi tormenta la paura di vedermi scappare tra le dita la testimonianza di qualche grande vecchio. Ultimamente ne ho sentiti di formidabili. Un reduce della Prima Guerra mondiale che ha 110 anni cantava ancora. Una profuga tedesca della Polonia... Che archivi viventi... Come si fa a lasciarseli scappare?». Goethe scrive «in ogni vecchio c’è un Re Lear». Quest’idea di catarsi nella vecchiaia non le suggerisce un commento? «Anche Goethe può dire cose inesatte. Non riesco a generalizzare. Lear ha fatto un errore dopo l'altro e soprattutto non ha capito la figlia che l'amava di più. Ma questi errori si fanno anche in età matura. L'egoismo nero aumenta con l'età? Può darsi». Hemingway invece ci dice che «i vecchi non diventano saggi ma solo più attenti». Lei ha qualche ricordo famigliare che confermi o smentisca questa considerazione? «Non lo so. Ci sono vecchi che hanno paura della loro ombra, e valutano ogni passo. Io preferisco i vecchi che perdono ogni diplomazia e non hanno più paura di dire a nessuno quello che pensano. Che splendida cosa, che lusso sublime, poter sbattere in faccia la verità agli arroganti!».
(29 settembre 2008) source

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