mercoledì 14 aprile 2010

wilhelm benque - 33 rue de boissy d'anglas paris

Wilhelm Benque è il fratello più giovane di Francesco Benque, nasce a Ludwiglust / Mecklenburg 12.06.1843 e diventa ingegnere meccanico ad Amburgo. Insoddisfatto della sua professione, convinto dai fratelli, diventa fotografo e nel 1867 al servizio di Kruger, fotografo di Berlino, opera nella filiale di Batavia (Indinesia). Si sposa nel Borneo con Nelly Cowalsky di origine tedesca e nel 1875 ritorna in Europa a rivedere i genitori in Germania e il fratello Franz appena ritornato a Trieste dal Brasile. Lasciata la piantagione del Borneo, nel 1879 si trova a Parigi dove apre uno studio con il socio Klary proveniente da Algeri, in Rue Boissy d'Anglas con Exposition 5 Rue Royale. Lo studio è attivo sino al 1882 con il socio Kneubukler. Sebastianutti & Benque : Fünf Fotografen Vier Generationen Drei Kontinente / Armgard Schiffer-Ekhart ; Barbara Schaukal En 1899, Boleslaw Matuszewski entre en possession de l’atelier photographique Benque, 33 rue Boissy-d’Anglas à Paris, fondé en 1879 par Wilhelm Benque et Klary. L’atelier est racheté en 1881 par Kneubuhler, mais reste au nom de Benque et Cie jusqu’à son acquisition par Matuszewski en 1899 dont il est le propriétaire jusqu’en 1904. La maison Benque disparaît définitivement en 1907 du Bottin du Commerce. (...) La société Benque qui se spécialise dans les portraits d’acteurs de théâtre, offre un large éventail de service : peintures, grands portraits, reproductions et pastels, à la lumière électrique. Elle propose, en outre, la réalisation de photographies sur émaux vitrifiés en couleur ou noir et blanc dont l’atelier de fabrication se trouve à Mesnil le Roy. La société possède depuis 1881, une vitrine d’exposition, 5 rue Royale (rue parallèle à Boissy-d’Anglas). http://1895.revues.org/document301.html#bodyftn10

alberto benque

trieste, post 1904

amburgo - benque & kindermann

post 1869

brasile - benque & henschel

rio de janeiro 1870-1878

martedì 13 aprile 2010

trieste - mostra sebastianutti &benque

giovanni verga Sebastianutti & Benque l’atelier che immortalò la Trieste di fine ’800 Una mostra e un catalogo curati dal Comune fanno luce sulla smisurata produzione dei professionisti e aprono un nuovo filone di studi sulla storia del settore in città di Claudio Ernè TRIESTE. Il fotografo alla moda nella Trieste di fine Ottocento era Francesco Benque, associato a Guglielmo Sebastianutti, ritrattista dell’alta società. Il loro ”stabilimento”, negli anni del successo, accoglieva i clienti in Piazza della Borsa 10, il cuore dell’a ttività fotografica cittadina perché lì erano concentrati molti altri importanti atelier. Tra tutti basta citare quelli gestiti dalla ditta ”Emblemi e Ballerini - fotografia Daguerre” e quello di Emilia Manenizza, moglie di Francesco Penco. All’attività della ditta ”Sebastianutti & Benque” che si fregiava del titolo di fotografi dell’imperial regia corte d’A ustria e del Brasile, la Direzione dell’area cultura del Comune di Trieste, per l’assessorato retto da Massimo Greco, dedica una mostra e un catalogo. L’esposizione ha per titolo ”Due fiorini soltanto” e sarà inaugurata mercoledì 14 aprile alle 17.30 in una delle sale espositive di palazzo Gopcevich. È stata curata e organizzata da alcuni dipendenti della stessa Fototeca comunale, coordinati da Adriano Dugulin. Il loro lavoro e la loro iniziativa sono apprezzabili e lodevoli: consentono infatti di aprire una nuova finestra sulla storia della fotografia in città. È questo un settore a lungo negletto anche se a partire da una quindicina d’anni qualcosa ha iniziato a muoversi per iniziativa di ricercatori ed editori privati. Il settore pubblico rimasto a lungo alla finestra ora sembra scendere in campo e sceglie per farlo sia le immagini conservate da tempo nelle collezioni comunali, sia quelle che la Fototeca ha ricevuto di recente in dono da un collezionista cittadino. Si chiama Maurizio Radacich, e a lui i Civici musei di Storia ed arte hanno espresso pubblicamente gratitudine sul cartoncino che annuncia la mostra. Radacich ha regalato al Comune 879 ”carte de visit”, realizzate dai fotografi triestini negli anni dell’Austria Felix. Le immagini firmate da ”Sebastianutti & Benque” saranno esposte in originale a palazzo Gopcevich. Sono stampe antiche - o come dicono gli studiosi del settore ”vintage prints” - alle quali si affiancheranno alcuni ingrandimenti di notevoli dimensioni, realizzati per la mostra con tecnica digitale. All’esposizione è dedicato un catalogo di circa 200 pagine in formato 24 per 17 centimetri, realizzato anch’esso in ambito strettamente comunale. Questo volume riempie un grande vuoto informativo perché l’unico libro fotografico dedicato all’attività degli imperial-regi fotografi ”Sebastianutti & Benque” non è più reperibile sul mercato da una decina d’anni. Lo aveva stampato un editore austriaco e gli appassionati e le biblioteche ne hanno fatto incetta. È praticamente introvabile anche sul mercato dell’a ntiquariato. http://www.donau-uni.ac.at/imperia/md/content/studium/kultur/zbw/eshph/symposien/photography_and_research_in_austria2001.pdf Vi è un ultimo aspetto di questa iniziativa che va sottolineato. La Fototeca comunale - o meglio i suoi tecnici - hanno iniziato da tempo la digitalizzazione del patrimonio fotografico raccolto nelle proprie collezioni. Lo stanno mettendo in rete - grazie a una serie di finanziamenti - per renderlo fruibile agli studenti, ai ricercatori e al grande pubblico degli appassionati. Due fotografi dell’Austria Felix, al prezzo simbolico di ”Due fiorini soltanto”. http://ilpiccolo.gelocal.it/dettaglio/sebastianutti-amp-benque-l%E2%80%99atelier-che-immortalo-la-trieste-di-fine-%E2%80%99800/1930633 fotogalleria

lunedì 12 aprile 2010

la scoperta di bild - ultimo inedito di fulvio tomizza, istriano-triestino.

fulvio tomizza new york 1987 foto: max lucich

La solitudine del guardiano, tra un bau e l altro

Da ”La scoperta di Bild” pubblichiamo l’inizio del racconto di Fulvio Tomizza, per gentile concessione di Falzea Editore. di FULVIO TOMIZZA C’era un cane tanto solo, come nessuno se lo può immaginare. Forse fu pensando a lui che si incominciò a dire ”solo come un cane”. I suoi padroni erano una coppia di contadini già anziani, che per tutto il giorno se ne stavano a lavorare nei campi e tornavano a sera tarda. Da quel momento incominciava il lavoro di Bild, che era di tenere la volpe lontana dal pollaio. Giovanni e Giovanna, i suoi padroni, lo avevano legato a una catena tra la stalletta dei polli, che sorgeva dietro la casa, e il bosco di querce. A ogni rumore sospetto tra il fogliame Bild era lesto ad abbaiare, così che i due vecchi sposi, stanchi morti per la fatica, si svegliavano per un attimo e subito ricadevano nel sonno, rassicurati. Per questa ragione non erano avari con il loro cane, al quale davano da mangiare due volte al giorno, di mattina presto prima di partire e alla sera quando tornavano, badando pure a riempirgli la ciotola dell’acqua. Quanto al bere e al mangiare Bild poteva dirsi dunque contento. Ma ciò di cui più soffriva era la mancanza di compagnia, lo starsene solo dalla mattina alla sera e dalla sera alla mattina. Sognava anche lui nei momenti in cui veniva preso dal sonno, e immaginava che dal bosco uscisse per davvero la volpe, che era suo compito di impaurire, che Giovanni ogni tanto lo slegasse e lo portasse con sé sul trattore; che Giovanna nel versargli il cibo allungasse una mano per accarezzargli il pelo, grattargli un orecchio, tirargli la coda; che i passanti si fermassero sulla strada ghiaiosa quando avevano superato il margine del bosco e d’improvviso comparivano alla sua vista e lui li richiamava con un abbaio e loro invece affrettavano il passo, i bambini si mettevano addirittura a correre per scomparire dietro l’alta facciata della casa. Sì, che si fermasse un po’ di più la vecchietta con lo scialle, ma senza dirgli ciò che lui ben sapeva: che era solo come il campanile del paese. Proprio da quel lato della piazzuola, nella quale si elevavano soltanto l’albero a cui era legato e il pagliaio dove si rifugiava in caso di pioggia, gli venivano le uniche distrazioni che interrompevano le sue giornate lunghe e tristi. Gli dava una certa soddisfazione vedere di quando in quando la gente scendere dal villaggio vicino per raggiungere il grosso paese fornito di alcuni negozi e attraversato dalla strada asfaltata sulla quale scorrevano le automobili, i camion, le corriere, già verso il mare. Meravigliava Bild il diverso modo di vestire e di camminare degli stessi passanti, sia che cambiassero le stagioni e come i suoi stessi padroni gli si presentassero ora con le braccia nude ora infagottati fino agli occhi, sia che si recassero al paese per le compere o invece di là si spingessero verso altri centri. Imparava anche a conoscerli, a ricevere qualche parola in risposta al proprio abbaio, che era quasi sempre di protesta. Non capivano che il suo modo di esprimersi non era sempre di minaccia e avesse anche lui il diritto di mostrarsi diverso a seconda del tempo, dell’umore, del tipo di persona alla quale si rivolgeva. Poi scendeva la notte e dal suo spiazzo nudo e un po’ elevato Bild vedeva accendersi tante luci che pure parevano invitarlo a farsi vivo, a dire che lui continuava a esserci anche col buio. Ma la sua voce non veniva ascoltata e, via via, si sperdeva nel frastuono delle macchine che erano ridotte a tanti puntini luminosi, i quali sfrecciavano lungo la grande strada. http://ricerca.gelocal.it/ilpiccolo/archivio/ilpiccolo/2010/04/10/NZ_23_PIED.html http://ricerca.gelocal.it/ilpiccolo/archivio/ilpiccolo/2010/04/10/NZ_23_APRE.html

LUGANO - Giovedì 12 novembre 2009, alle ore 18.00 nella Sala Tami, Biblioteca cantonale si parlerà del volume di Fulvio Tomizza, Le mie estati letterarie.

Interverranno: Karin Stefanski, collaboratrice scientifica dell'Archivio Prezzolini; Ermanno Paccagnini, professore di Letteratura italiana contemporanea all'Università Cattolica di Milano; Cesare De Michelis, professore di Letteratura italiana contemporanea all'Università di Padova e presidente della Marsilio Edizioni.

L'ultima rilevante acquisizione di documenti letterari novecenteschi confluiti all'Archivio Prezzolini della Biblioteca cantonale di Lugano è proprio quella delle carte di Fulvio Tomizza - nato a Materada nel 1935 e scomparso a Trieste nel 1999 - scrittore di frontiera per antonomasia nel panorama della letteratura italiana del '900. Grazie alla mediazione dell'on.

Gabriele Gendotti, Direttore del DECS, e del dott. Sergio Grandini, la Biblioteca cantonale di Lugano ha potuto acquisire nel 2004 l'importante fondo di Fulvio Tomizza, scrittore di frontiera per eccellenza nel panorama della narrativa italiana del Novecento, ma anche "Uomo senza frontiere", come lo definì Mario Rigoni Stern. La donazione, avvenuta grazie alla generosità delle eredi, la moglie Laura Levi Tomizza e la figlia Franca Tomizza Babici, si compone di manoscritti, dattiloscritti e edizioni a stampa delle opere, saggi letterari, critiche, fotografie e altro materiale. Un primo essenziale riordino delle preziose carte dell’autore istriano è da tempo stato avviato con grande acribia dalla figlia, la dottoressa Franca Tomizza.

L'inventario è ora consultabile anche in rete, insieme a tutti gli altri Fondi dell'Archivio Prezzolini, sul sito della Biblioteca www.sbt.ti.ch/bclu.

«Non è certo casuale che tutti i miei 20 libri di narrativa, a eccezione di un paio, siano stati scritti d'estate, in campagna. Per un ex studente uscito dall'ambiente contadino i tre mesi estivi si configurano sia quale vertice di operosità dell'intera annata (ma anche con notti malandrine, con giornate di baldoria nella ricorrenza dei santi patroni) a cui egli non può o non sa rimanere estraneo, sia come un lungo periodo di stasi da riempire mettendo al lavoro anche il cervello».

Questo è l'incipit del capitolo autobiografico di Fulvio Tomizza, Le mie estati letterarie, pubblicato nel volume omonimo (con introduzione di Cesare De Michelis, Venezia, Edizioni Marsilio, 2009), capitolo che funge da fil rouge alla mostra intitolata "Da Materada a Materada. Un viaggio nella creazione letteraria di Fulvio Tomizza dagli esordi a La miglior vita", visitabile alla Biblioteca cantonale di Lugano dal 24 ottobre al 14 novembre. Dal testo sono stati estrapolati alcuni brani-chiave che descrivono il modo di procedere di Tomizza nel suo sforzo creativo e presentano il "laboratorio filologico" dello scrittore attraverso manoscritti dattiloscritti e varianti, relativo alle sue prime 10 opere, corredato anche da fotografie, articoli e libri. A complemento, durante tutto il periodo espositivo, è trasmessa a circuito chiuso l'intervista televisiva RSI-Radiotelevisione svizzera, condotta da Arturo Chiodi e realizzata a Trieste nel 1977 per l'assegnazione del Premio Strega a Fulvio Tomizza.

Nato nel piccolo borgo istriano di Giurizzani, frazione di Materada (oggi in Croazia), Fulvio Tomizza apparteneva a una famiglia profondamente segnata dalle vicissitudini geografiche, storiche e politiche che hanno travagliato l’Istria nel primo e nel secondo dopoguerra. Dopo gli studi in seminario e la maturità al liceo di Capodistria, egli frequentò la Facoltà di Lettere dell'Università di Belgrado e l'Accademia d'arte drammatica, trasferendosi poi a Lubiana. Redattore di Radio Capodistria, alla fine del 1955 si stabilì, insieme alla madre e al fratello, a Trieste, dove cominciò a lavorare come giornalista alla RAI, vivendo in prima persona una sorta di nomadismo obbligato, al pari di altri 300mila istriani di origine italiana. L’esodo dalla sua terra, il senso di sradicamento e di disagio personale e universale assursero, con declinazioni e sfumature via via diverse, a protagonisti assoluti della sua opera narrativa.

L'esordio letterario di Fulvio Tomizza avvenne con il romanzo Materada (1960) – amara saga contadina sull'esodo dall'Istria – seguìto da La ragazza di Petrovia (1963) e da Il bosco di acacie (1967). Nel 1969 Tomizza vinse il 'Viareggio' con L'albero dei sogni e nel 1977 lo 'Strega' con La miglior vita. 20 i suoi romanzi, tradotti in molte lingue, tra cui, oltre ai già citati, La quinta stagione (1965), La torre capovolta (1971), La città di Miriam (1972), Dove tornare (1974), Il male viene dal Nord (1984), Gli sposi di via Rossetti (1986) che gli valse i premi ‘Vilenica’ e ‘Ascona’, Franziska (1997), con cui si aggiudicò l’‘Alassio’. A Vienna, nel 1979, gli fu conferito il Premio di Stato Austriaco per la letteratura europea.

http://www.tio.ch/aa_pagine_comuni/articolo_interna.asp?idarticolo=504132&idsezione=3&idsito=127&idtipo=410

giovedì 1 aprile 2010

trieste - teatro romano prima e dopo

foto a. ciana