domenica 29 giugno 2008

Trieste - Pace - Cavana 2004 - 2000 anni di Palestina

....due manifesti attaccati, per caso, vicini sullo stesso muro... Cavana 2004 Copyright Mauro Vivian

Trieste - Madame Dinosaures

La signora dei dinosauri
Ricostruisce gli scheletri per i musei di tutto il mondo. "Il mio lavoro? A metà tra i puzzle e l’anatomia"
RAPHAËL ZANOTTI
INVIATO A TRIESTE Giorgia Bacchia ama i puzzle fin da quand’era piccola. L’ultimo che ha ricostruito ha 75 milioni di anni. È un triceratopo, un dinosauro corazzato lungo sette metri e mezzo, alto tre, con un testone di due e corna lunghe un metro e venti. Roba da mettere a disagio un T-Rex, quando ne incontrava uno. Giorgia ha 29 anni e da quattro è la Signora dei dinosauri. Il padre le ha lasciato questa eredità: titolare della Zoic, l’unica azienda in Italia in grado di ricostruire dinosauri di grosse dimensioni. Una delle prime cinque al mondo, volume d’affari sul milione di euro. Il mercato in cui opera non è vastissimo. Alla società, che ha sede a Trieste, si rivolgono soprattutto i grandi musei di storia naturale del mondo, ma anche i privati. L’ultima sua creatura, il triceratopo appunto, è stato battuto all’asta di Christie’s per 600 mila euro e ad aggiudicarselo è stato proprio un appassionato americano. Von Paulus (così si chiama il triceratopo, dal nome del comandante delle truppe corazzate tedesche a Stalingrado) è tornato in patria. Le sue ossa provengono infatti dal Wyoming e la Zoic le ha acquistate per circa 100 mila euro da un mediatore tedesco. Ci sono voluti cinque mesi di intenso lavoro per tirarlo fuori dalla roccia e montarlo, osso dopo osso. Il Von Paulus Ma alla fine ne è valsa la pena: all’asta Von Paulus è stato tanto apprezzato che altri compratori, dopo aver perso questo gioiello, hanno subito prenotato un altro triceratopo. E l’azienda di Trieste è già in trattative per comprarne uno. «Ricostruire un dinosauro non è una cosa che s’inventa da un giorno all’altro - spiega Giorgia - Di piccole aziende che lavorano coi fossili ce n’è tante, ma bisogna avere un bel giro per rimanere impegnati mesi nella ricostruzione di un grosso dinosauro con la speranza di rivenderlo intero». Ma come si fa rinascere un dinosauro? Innanzitutto bisogna trovare lo scheletro, e già qui cominciano le difficoltà. In Italia non è possibile acquistarlo. Per legge qualsiasi cosa si trovi nel sottosuolo è di proprietà dello Stato. Bisogna quindi rivolgersi all’estero, in Medioriente o meglio ancora negli Stati Uniti. Una volta acquistate, le ossa vengono trasportate in blocchi di pietra e terra rivestiti da una camicia di gesso protettiva. I blocchi vengono accumulati in un magazzino nella zona industriale di Trieste, dove due geologi, due tecnici e due disegnatori tireranno fuori ogni osso dalla roccia. L’osso mancante Entrare nel laboratorio è già di per sé un’esperienza. Sui banconi ci sono arnesi di tutti i tipi: dai disegni ai lavori di carpenteria, tutto viene realizzato in questo capannone. Il pavimento è totalmente invaso da macerie che arrivano all’altezza della caviglia: quel che resta di vecchi dinosauri già ricostruiti. È necessaria una buona base di anatomia comparata per riuscire a individuare l’osso che si ha davanti, ma anche una certa vena artistica. «Trovare uno scheletro completo al 100% è impossibile - continua Giorgia - Parte delle ossa va ricostruito. Noi lo facciamo o scolpendo in plastica l’osso mancante, oppure ottenendo una copia attraverso il calco di un altro osso». Il processo è un connubio di originalità e fantasia: per sprecare meno silicone possibile, alla Zoic il contenitore del calco viene ricostruito di volta in volta con pezzi del lego. Man mano che le ossa vengono estratte dalla roccia o ricostruite, le si aggancia a un telaio in acciaio inox appositamente costruito da un carpentiere. Non basta rimettere in piedi un dinosauro, occorre montarlo nella posa che più piace al committente. I tempi per la ricostruzione possono variare. Ogni dinosauro è un enigma a sé, con le sue difficoltà e le sue soluzioni. «È un lavoro affascinante, mi sento molto fortunata a poterlo fare - spiega Giorgia - È tutto merito di mio padre. Grazie a lui, tra le ossa con milioni di anni, ci sono cresciuta. A quattro anni, a una fiera, ho scambiato il mio ciucciotto con tre fossili, il mio destino era segnato». Flavio, il padre di Giorgia, è infatti un pioniere in questo settore. «Ho cominciato quand’ero ragazzino - racconta - Collezionavo di tutto, dai minerali alle farfalle. Cercavo le cose più rare, e così che sono incappato nei fossili. Ricordo ancora l’entusiasmo di quando, da ragazzo, trovavo un pescetto impresso nella roccia dopo due o tre giorni di ricerca sul Carso o in Croazia». Continua: «Oggi l’entusiasmo è rimasto lo stesso, anche se quegli stessi fossili ora li vendiamo a cassette. Mi sono reso conto che questa passione poteva diventare un lavoro quando, all’università, un mio compagno a cui avevo mostrato la collezione mi ha chiesto se poteva comprare un fossile. Mi ha domandato quanto volessi e io gli ho risposto: "Boh, e che ne so?". Mi diede 20 mila lire. Da allora ho capito che poteva essere un business». Da Londra alla Corea Un bel business. La Zoic è nata solo nel 2004 come costola di una precedente azienda di Flavio Bacchia, la Cœlodus che nel frattempo si era trasformata in Stoneage. Si occupa esclusivamente della ricostruzione di dinosauri ed è in mano a Giorgia. Al padre è rimasto l’altro settore: fossili e diorama, ovvero la ricostruzione completa di ambienti preistorici per piccoli musei che non possono permettersi un dinosauro originale. La specializzazione era necessaria, non sono più i tempi di Jurassik Park: il mercato al minuto si è contratto dell’80%. Ma alla Zoic oggi si rivolgono istituzioni come il British Museum, dove c’è il calco di un cranio di allosauro, oppure il Museo coreano di preistoria. È della Zoic anche Jenny, l’allosauro del Museo Federico II di Napoli. E l’adrosauro Antonio, il primo dinosauro completamente italiano che si può ammirare al Museo di Storia naturale di Trieste. Di recente il Museo Cappellini di Bologna ha chiesto alla famiglia Bacchia e ai loro incredibili artigiani di spostare e restaurare un modello di diplodoco in gesso che risale al 1909: un tesoro storico già da solo. Giorgia Bacchia chiude il magazzino e lascia dormire i suoi dinosauri ancora mezzi montati. A casa ad aspettarla c’è Asia, sua figlia di due anni e mezzo. La piccola pare abbia una passione: le piacciono i puzzle. source http://www.youtube.com/watch?v=57lScX4VbXQ

lunedì 16 giugno 2008

Juliette Gréco - Les années d'autrefois

Aujourd'hui on m'a demandé les paroles de cette chanson, elles n'étaient pas disponibles sur le net, jusqu'à présent..... Juliette Gréco - Les années d'autrefois un pont sur la mer/ nos pas sur le canot/ soleil sur la pierre/ le palais des lions/ ta main dans ma main/ le monde dans tes yeux/ au ciel italien/ d'un bleu miraculeux/ dis, t'en souviens-tu?/ des années d'autrefois/ des années perdues où nous allions là-bas/ un pont sur la seine/ nos pas sur le pavé/ une chambre d'hotel/ passions et baisers/ ta main sur mon coeur/ la pluie sur mon matin/ le gout du bonheur/ la peur du lendemain/ dis, t'en souviens-tu? des années d'autrefois/ des années perdues/ où nous ne dormions pas/ un pont sur ma vie/ nos pas dans le silence/ au bout de mes nuits/ l'écho de ton absence/ tant d'heures de nuit/ la pluie sur les carreaux/ tant d'heures enfuies/ au mirage des mots/ dis, t'en souviens-tu?/ des années d'autrefois/ des années perdues où nous n'avions pas froid dis, t'en souviens-tu?/ de notre histoire d'amour/ dis, as-tu perdu l'espoir au long des jours?/ dis, as-tu perdu rire et nous toujours?/

Trieste - cimitero musulmano (1) - passeggiata tra le tombe

Il ruscello che scorre sul lato destro del campo, in prossimità della cappella, è una considerevole fonte di umidità, che danneggia gli intonaci esterni della parte circostante l’entrata dell’edificio e quelli interni in vari punti. Uno squarcio si apre sul lato destro del soffitto, permettendo la penetrazione di agenti atmosferici e fogliame.
All’esterno, le tombe sono per la maggior parte seminascoste da erbacce, il che dà un’idea di abbandono al visitatore. La manutenzione ordinaria viene assicurata dal consolato turco di Trieste due volte all’anno; nei periodi intermedi viene curata dai fedeli su base volontaria ed è, pertanto, subordinata alla disponibilità e al sacrificio individuale. Da notare il fatto che, di questo cimitero, non viene fatta menzione nel regolamento cimiteriale del Comune di Trieste, come del resto avviene per gli altri cimiteri non cattolici della zona, in quanto permane la competenza giurisidizionale turca.
Sarebbero opportune, pertanto, delle azioni a livello locale e, ove possibile, azioni coordinate a più alto livello, che regolassero la manutenzione del luogo, includendola nei regolamenti esistenti e non affidandola soltanto al puro volontariato dei fedeli musulmani, coordinando così le autorità turche e quelle italiane per la realizzazione di interventi mirati alla ristrutturazione delle strutture in muratura qualora cio' si renda necessario, così com'è allo stato attuale.


....prima e dopo la manutenzione assicurata dal consolato turco....
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sabato 14 giugno 2008

Trieste -cimitero musulmano (2)- tombe recenti



Dopo quelle dei soldati caduti nel corso della prima guerra mondiale, non vi è traccia nel cimitero di via Costalunga di altre lapidi datate fino al 1935; a tale anno risale una tomba a doppio cippo in pietra rosata che riporta questo testo:
Qui giace Ihsan Kemal Bey da Cipro, andando in Svizzera per curarsi morì sul traghetto”[1]. Si tratta di un giovane cipriota che si trovava a passare da queste parti nel suo viaggio, purtroppo vano, verso la guarigione.

(1)Traduzione dal turco di Cevdet Anik.
Dietro un’altra lapide si cela la storia di Abdullah Mehmet, detto Meto; la famiglia era originaria della Turchia. Giunto a Trieste (1) a circa vent’anni di età nel 1910, dopo qualche anno aprì un bar in Piazza Cavana, nella città vecchia, che divenne luogo di riunione per i musulmani presenti in città, in maggioranza provenienti da Sarajevo, e per i turchi che vi arrivavano in nave: un locale che rappresentava, insomma, una sorta di erede del vecchio Caffè Orientale. Dopo la seconda guerra mondiale lavorò come impiegato al consolato turco e divenne, in seguito, custode del cimitero dove risiedeva, assieme alla compagna, non musulmana, in un’apposita stanzetta all’interno dell’edificio esistente. I due riposano assieme nello stesso sepolcro, grazie all’autorizzazione concessa dal console turco: vista la situazione giuridica e religiosa della signora, fu necessario richiedere un permesso. Questo episodio costituisce un’eccezione alle rigide norme sulla sepoltura esposte in precedenza e suggerisce l’immagine di una realtà locale abituata alle commistioni, qual è infatti, da secoli, quella triestina.

(1) Intervista alla sig.ra Claudia Cozzi, conoscente di alcuni defunti sepolti nel cimitero ottomano.
Tra le tombe più recenti, quella di Ahmed Mešinović spicca per bellezza: adornata da un cespuglio di rose, a due cippi, uno alto sormontato da un fez (1) in corrispondenza della testa e con un’iscrizione in arabo, uno basso in corrispondenza dei piedi con un’iscrizione in bosniaco. Su entrambi, l’epiteto di hadži accompagna il nome, a significare che Ahmed aveva compiuto il pellegrinaggio alla Mecca. Come per le lapidi ottomane dell’Ottocento, è stata mantenuta la tradizione di un’iscrizione che inizia con un’invocazione a Dio e una supplica per il defunto.


(1) Le tombe col fez sono di origine recente; in Bosnia cominciarono a diffondersi dopo il 1832 in seguito all’introduzione di riforme militari. I fez appaiono sulle tombe dei militari, spesso assieme ad ornamenti. Meho Čaušević, Umjetnost bašluka, “Most”, anno XXXI, n. 195, Mostar (Bosnia Erzegovina), febbraio 2006 (versione on-line) in www.most.ba.
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giovedì 12 giugno 2008

Trieste - cimitero musulmano (3) - lapide orto lapidario

lapide musulmana conservata presso l'orto lapidario


{..........}All’inizio esso è stato impiegato per seppellire soprattutto militari perché, come abbiamo visto, i commercianti turchi erano poco propensi a stabilirsi all’estero. {..........} 
 
La dislocazione periferica dei cimiteri triestini, compreso quello musulmano, è dovuta al fatto che già nel 1825 il governo austriaco, a seguito di un’ispezione, decise che essi erano troppo vicini al centro abitato e dispose, per motivi di salubrità, lo spostamento di tutte le sepolture dalla zona di San Giusto a quella attuale di Sant’Anna, riservando un terreno per le sepolture non cattoliche (1). E’ stato ipotizzato che già allora fossero presenti sepolture di musulmani, pensando che una lapide che si trova presso il Civico Museo dell’Orto Lapidario, situato ai piedi del castello di San Giusto, provenisse dalla zona originaria; ma, come si dirà in sede di descrizione, l’ipotesi non è verificata.

(1)Cristina Rovere, Tracce islamiche nella Trieste dell’Ottocento, “Archeografo Triestino”, vol. LXV, IV serie, Trieste, 2005, pagg. 354-355.
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mercoledì 11 giugno 2008

Trieste - cimitero musulmano (4) - lavacro

L’interno della cappella: al centro, il lavacro in marmo

Pozzo da cui attingere l’acqua per il lavaggio delle salme.
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martedì 10 giugno 2008

Trieste - cimitero musulmano (5)


{......} L’ingresso ora è situato in via Costalunga, al civico 101. L’appezzamento su cui si estende il cimitero ha forma trapezoidale. Il primo elemento che vi si nota è il portone d’ingresso, con un arco a ferro di cavallo. Questo tipo di arco a tre quarti di circonferenza è caratteristico, nel mondo islamico, soprattutto dell’architettura maghrebina e spagnola del periodo della dominazione araba, ma non solo: si ritrova anche in basiliche protocristiane armene, in ambito mediorientale, in India e, addirittura, presso gli Etruschi e nell’architettura tardo-romana.
Il motivo dell’arco a ferro di cavallo viene ripreso anche all’esterno, come motivo ornamentale della muratura, ed all’interno del giardino, dove troviamo un pozzo da cui attingere l’acqua per il lavaggio delle salme: la carrucola pende da un arco a ferro di cavallo in metallo.
L’elemento architettonico dell’arco a ferro di cavallo: il portone d’ingresso, la muratura esterna, il pozzo. (1)



Le fotografie del cimitero ottomano in questo capitolo e in quelli successivi sono state scattate in occasione del sopralluogo ivi effettuato il 23 maggio 2006 grazie al dott. Saleh Igbarria, presidente della comunità islamica di Trieste.





{......} Attraversando in linea retta l’area d’ingresso si arriva al campo, mentre a sinistra troviamo un altro arco, sempre a ferro di cavallo, che immette nella cappella mortuaria, sovrastata dalla cupola. Alla sommità di questa seconda porta, si trova una targa di bronzo con una frase tratta dal Corano: “ogni anima gusterà la morte; quindi a noi sarete fatti ritornare.(1)

(1) Vincenza Grassi, Il cimitero “ottomano” di Trieste, “Oriente moderno” N.10-12 (ottobre – dicembre 1985), Roma, pag. 225.


La cappella è sovrastata da una cupola, sotto la quale vi sono quattro finestre a spicchio. Sulla sommità della cupola spicca una mezzaluna: una falce rivolta verso l’alto che, al passante più attento, facendo capolino dal muro di cinta rivela la secolare presenza del cimitero nella città.
Al suo interno, colonne paraste a parallelepipedo schiacciato ornano i muri: all’interno della stanza, solo il lavacro in marmo collocato al centro. In fondo, sul lato sinistro, era collocato un caminetto (1), che serviva per riscaldare l’acqua per il lavaggio rituale dei defunti, che deve essere fatto con acqua tiepida. In fondo, oltre un’altra porta, la stanzetta del custode, non più in uso ormai da decenni. All’interno e all’esterno dell’edificio, il colore dei muri è il giallo.
(2) In Una passeggiata alle tombe, Vincenzo De Drago ci presenta una breve descrizione del cimitero nel 1870: il colore dell’edificio era, allora, il bianco; egli lo definisce, erroneamente, moschea.




(1) Intervista a Saleh Igbarria, presidente della comunità islamica di Trieste, durante il sopralluogo al cimitero.
(2) Vincenzo de Drago, “Una passeggiata alle tombe”, Trieste, Tipografia Appolonio & Caprin, 1870, pag. 211.

foto: Mauro Vivian
da "i Turchi a Trieste: storia del consolato e del cimitero ottomani" (tesi di laurea in Storia dell'Impero Ottomano) di Mauro Vivian
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mercoledì 4 giugno 2008

Trieste - el sorzo dell'università....

Studenti in mensa col sorcio, per risparmiare

di Davide Prevarin (Devilmath)

Alla mensa dell’Università, in mezzo a tanto cibo disponibile, è sbucato un topo in cerca di qualcosa per sé. Gli studenti, che hanno prontamente filmato l’accaduto, storcono il naso. Ma alla fine la convenienza vale il prezzo di qualche “inconveniente”…

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