Dopo
quelle dei soldati caduti nel corso della prima guerra mondiale, non
vi è traccia nel cimitero di via Costalunga di altre lapidi datate
fino al 1935; a tale anno risale una tomba a doppio cippo in pietra
rosata che riporta questo testo:
Qui
giace Ihsan Kemal Bey da Cipro, andando in Svizzera per curarsi morì
sul traghetto”[1].
Si tratta di un giovane cipriota che si trovava a passare da queste
parti nel suo viaggio, purtroppo vano, verso la guarigione.
(1)Traduzione
dal turco di Cevdet Anik.
Dietro
un’altra lapide si cela la storia di Abdullah Mehmet, detto Meto;
la famiglia era originaria della Turchia. Giunto a Trieste (1) a
circa vent’anni di età nel 1910, dopo qualche anno aprì un bar in
Piazza Cavana, nella città vecchia, che divenne luogo di riunione
per i musulmani presenti in città, in maggioranza provenienti da
Sarajevo, e per i turchi che vi arrivavano in nave: un locale che
rappresentava, insomma, una sorta di erede del vecchio Caffè
Orientale. Dopo la seconda guerra mondiale lavorò come impiegato al
consolato turco e divenne, in seguito, custode del cimitero dove
risiedeva, assieme alla compagna, non musulmana, in un’apposita
stanzetta all’interno dell’edificio esistente. I due riposano
assieme nello stesso sepolcro, grazie all’autorizzazione concessa
dal console turco: vista la situazione giuridica e religiosa della
signora, fu necessario richiedere un permesso. Questo episodio
costituisce un’eccezione alle rigide norme sulla sepoltura esposte
in precedenza e suggerisce l’immagine di una realtà locale
abituata alle commistioni, qual è infatti, da secoli, quella
triestina.
(1)
Intervista alla sig.ra Claudia Cozzi, conoscente di alcuni defunti
sepolti nel cimitero ottomano.
Tra
le tombe più recenti, quella di Ahmed Mešinović spicca per
bellezza: adornata da un cespuglio di rose, a due cippi, uno alto
sormontato da un fez (1) in corrispondenza della testa e con
un’iscrizione in arabo, uno basso in corrispondenza dei piedi con
un’iscrizione in bosniaco. Su entrambi, l’epiteto di hadži
accompagna il nome, a significare che Ahmed aveva compiuto il
pellegrinaggio alla Mecca. Come per le lapidi ottomane
dell’Ottocento, è stata mantenuta la tradizione di un’iscrizione
che inizia con un’invocazione a Dio e una supplica per il defunto.
(1)
Le tombe col fez sono di origine recente; in Bosnia cominciarono a
diffondersi dopo il 1832 in seguito all’introduzione di riforme
militari. I fez appaiono sulle tombe dei militari, spesso assieme ad
ornamenti. Meho Čaušević, Umjetnost
bašluka,
“Most”, anno XXXI, n. 195, Mostar (Bosnia Erzegovina), febbraio
2006 (versione on-line) in www.most.ba.
Copyright Mauro
Vivian
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