sabato 30 maggio 2009
le début de la triestinisation
CHAC: Oublier les polémiques – Passer à autre chose et aller voir ailleurs –
C’est ce qui a été réalisé par 4 agents du Centre Hospitalier Ariège Couserans lors d’un voyage d’étude en Italie (Trieste), voyage à l’initiative, et organisé par Mme Christine Guerreiro, présidente de l’UNAFAM 09.
Du 29 mars au 3 avril, le Dr Nicole Beydon, psychiatre, Cathy Auriac, psychologue, Sonia Santocildes et Cathy Colette, cadres de santé, ont été accompagnées par Mme Guerreiro dans la rencontre avec des acteurs de la psychiatrie italienne.
Sur place, une remise en question profonde devant une psychiatrie de secteur privilégiant les hommes et non les murs: «en Italie, nous avons vu que la psychiatrie de secteur, et seulement de secteur existe»
Depuis 1978, la loi dite BASAGLIA a fermé les hôpitaux psychiatriques et a organisé des services d’urgence dans les hôpitaux généraux mais surtout a créé des centres de santé mentale.
L’organisation est territoriale et le territoire se découpe en trois départements: département santé mentale, district sanitaire (personnes âgées, groupement de médecins généralistes, handicap mental, alcool et toxicomanie) et département prévention.
Est affirmée d’emblée une coordination très forte entre l’administratif et le médical ce qui est facilité par le fait que chaque médecin responsable de centre assume la double responsabilité.
L’axe principal de la prise en charge est la psychiatrie de proximité réalisée à partir des centres de santé mentale vers les habitants.
Par la psychiatrie en Italie, qui met au premier plan, non pas le traitement à suivre, mais le maintien des liens sociaux, il en résulte que, de façon inattendue, ce traitement paraît facilement accepté.
On observe une grande fluidité entre ces deux questions: le traitement et la place sociale.
Elles sont l’objet d’une réflexion simultanée. Le lien avec le travail n’étant barré par aucun formalisme puisque la notion d’handicap psychique n’existe pas en Italie.
Le maintien de l’intégration sociale est l’objectif fondamental. Un accueil chaleureux où patients, parents et soignants italiens ont accompagné les visiteurs français.
Ce séjour, dans tous les cas, ne manquera pas de faire réfléchir sur le sens du soin.
Source: Centre Hospitalier Ariège Couserans
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Quello che Report non ha detto, La tragedia Trieste
Pubblichiamo questa lettera di un educatore che lavora a Trieste, inviata alla nostra redazione e già pubblicata nel Forum di Report, che narra della situazione psichiatrica triestina, per nulla considerata da Report. Anzi in trasmissione si è detto che si sarebbe parlato solo delle cose che non funzionano: visto che si è parlato di sole 3 regioni allora nelle restanti regioni tutto funziona? Inoltre, si è detto, che il Friuli sarebbe l'unica regione in Italia a dedicare il 5% della spesa sanitaria alla salute mentale, quasi lasciando intendere che sia un buon esempio di assistenza. Risulta invece, dagli ultimi dati disponibili, che nel 2005 la spesa dedicata alla salute mentale è stata solo del 4,3% a Trieste (ormai tutti sanno che la media europea è del 7,5% con punte del 13%). Segue la lettera.
Buon giorno a tutti, lavoro come educatore nella provincia di Trieste dove la grande rivoluzione del dott. Basaglia è iniziata, in questo contesto mi muovo da 4 anni e mi sono stupito guardando la vostra puntata che non vi fosse nemmeno mezzo servizio sulla nostra realtà che vi assicuro non spicca certo per eccellenza. Mi permetto quindi di fare una brevissima integrazione. Anche qui come nelle altre realtà che avete mostrato la forte tentazione ad adottare la terapia farmacologica come unica cura possibile è molto forte, anche qui spesso le persone con gravi problemi psichici vengono lasciate a se stesse o affidate a comunità o case appartamento e lì dimenticate. Parlo per esperienza personale: esistono malati psichici che una volta entrati in una struttura, come una casa appartamento, non vengono cercati e visionati anche per anni dal loro psichiatra di riferimento, senza nessuna supervisione medica possono continuare a prendere la stessa terapia per anni senza che alcun medico ne controlli la reale efficacia nè i possibili effetti collaterali. La quasi totalità delle cure: somministrazione della terapia, cucina, igiene personale, pulizia delle strutture, l'attività riabilitativa, autista dei mezzi (spesso di proprietà dell'educatore), vengono affidate esclusivamente ad una sola figura professionale, appunto l'educatore. Ora, mi chiedo, che cosa fanno tutti gli altri? Teoricamente a sostegno di una persona con problemi psichici dovrebbero esserci :
* uno psichiatra
* un assistente sociale
* un infermiere psichiatrico
* un'educatore
giusto? Ma dove sono? Mi permetto di far notare che le prime 3 figure professionali sono dipendenti pubblici mentre l'ultima è un dipendente privato (il 99% socio-dipendenti di cooperative che come tali prendono i lavori solo in caso di appalto). Quindi la maggior parte del lavoro con un paziente psichiatrico grave viene delegata a una figura professionale, la più sottopagata, la più ricattabile che con i pochi mezzi che ha a disposizione, quasi nessuno se non la buona volontà cerca di condurre l'utente in un processo se non di guarigione almeno di crescita personale e aumento della propria qualità di vita. Personalmente quando ho iniziato questo lavoro pensavo di entrare a far parte in qualche modo della prosecuzione di quella rivoluzione basagliana di cui tanto avevo sentito parlare da bambino dai miei genitori e da adulto sulle pagine del quotidiano locale "IL PICCOLO": su quest'ultimo psichiatri e filosofi tuttora, almeno una volta al mese, ricordano la grande figura di Basaglia, le sue teorie, la fine della stigmatizzazione della malattia psichica, il grande modello della psichiatria triestina. Chi è un matto? Chi è normale? Che cos'è la normalità? Da vicino nessuno è normale! Quante volte ho letto questi spot che impegnavano pagine di inchiostro sulla carta stampata locale peccato che poi quando si vadano a cercare questi grandi rivoluzionari siano sempre in giro per il mondo spesso a spese dello Stato per qualche conferenza e mai al loro posto. Se poi andate ad ascoltare l'opinione più diffusa nelle strutture pubbliche psichiatriche sembra che il male maggiore, che l'involuzione più grande della psichiatria in Italia sia stata la delega dell'attività riabilitativa e residenziale dal pubblico al privato, una delega che a mio parere è soltanto percepita ma che nella realtà non esisterebbe se ogni figura professionale che dovrebbe prendersi cura di un malato si occupasse di lui senza delegare agli altri le proprie responsabilità. Lasciatemi sfatare il mito del grande privato che sfrutta le risorse pubbliche per arricchirsi, non è così mi dispiace! Almeno in questo contesto credo che il privato o almeno i lavoratori che in esso lavorano diano un contributo essenziale alla sopravvivenza di un sistema che altrimenti con le stesse risorse non potrebbe fornire la metà dei servizi che ora ci sono. Non ci credete? Pensate soltanto che in una residenza psichiatrica con 6 utenti la notte devono lavorare almeno 2 infermieri (dipendenti pubblici): questo viene garantito, per quanto ne so io, dal loro contratto nazionale del lavoro in caso la struttura venga appaltata ad una cooperativa con gli stessi utenti. Nella medesima struttura la notte lavora un educatore soltanto, un uomo solo che ha la responsabilità di accudire sei pazienti psichiatrici gravi (se non ci credete andate a controllare) e andate a controllare quanto guadagna un infermiere che fa le notti e quanto un educatore che svolge lo stesso lavoro in una residenza, ma che viene pagato da una cooperativa. Ma non pensate che la cooperativa sia la cattiva e disonesta e l'azienda sanitaria la buona e onesta. Chi indice la gara di appalto sa benissimo come saranno costretti a lavorare i lavoratori che subentreranno in quella residenza. Ma vi voglio far comprendere meglio la situazione in cui ci troviamo ad operare mese dopo mese, anno dopo anno e l'arroganza che i malati e chi si prende cura di loro sono costretti a subire da un sistema che non valuta più il benessere della persona, ma esclusivamente modifica il loro ambiente solo per una migliore gestione economico amministrativa. In questi ultimi due anni nel nostro territorio c'è stata questa nuova tendenza, come avete fatto notare durate la trasmissione, alla domiciliazione. Si tratta cioè di prendere un malato psichico, che magari per anni è stato seguito giorno e notte da un'equipe in una casa appartamento con cure e obiettivi specifici e letteralmente trasportarlo in un alloggio nuovo senza un graduale processo di integrazione nel nuovo contesto, ma scaraventarlo in una realtà assolutamente nuova dove finalmente potrà essere più indipendente. Ora lasciamo perdere il fatto che anche una persona sanissima che per cinque anni ha vissuto insieme ad amici e persone che si prendevano cura di lui e viene scaraventata da un giorno all'altro in un nuovo contesto accuserebbe sicuramente un forte colpo, la cosa più scandalosa secondo me è che chi decide della vita di queste persone con questi "terapeutici" cambiamenti non conosce quasi nulla di questi individui. Ci sono stati dei miglioramenti ? Dei peggioramenti? E’ pronto per entrare in un nuovo contesto, ha l'autonomia per farlo? Nè siamo assolutamente certi? Senza chiedere opinione alcuna, chi ha il potere per farlo sposta e fa quel che crede partendo dal presupposto generale che condividere un appartamento da solo con un altro "matto" sia terapeutico, qualunque sia il "matto", che la persona non ha più bisogno di essere seguita per ventiquattro ore, che occupare con una forte concentrazione di malati psichici un intero rione della città sia un bene per tutti. Quello che sembra e che quello che viene spacciato per una nuova conquista, la riappropriazione del territorio, non sia altro che una brutta maschera ad un continuo taglio di fondi .
Ciao Report vado a lottare ops... scusate a lavorare. Spero veniate presto a trovarci. Ciao a tutti
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1 commento:
tristemente vero ...
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